La claustrofobia è una paura ossessiva legata ai luoghi chiusi, ma può riferirsi anche ai luoghi affollati o ad altre situazioni che presentano dinamiche simili. La sensazione è quella di sentirsi in trappola, senza via di uscita e di fuga.
Le sue manifestazioni più tipiche sono malessere, senso di soffocamento e oppressione e talvolta questa paura si trasforma in veri e propri attacchi di panico.
Questo disturbo può quindi essere un timore più o meno intenso, ma può manifestarsi come profondo terrore.
Da cosa ha origine? Può essere una conseguenza di traumi infantili o esperienze traumatiche occorse lungo la propria vita, per esempio in situazioni di guerra in cui il soggetto ha dovuto nascondersi a lungo e spesso in rifugi oppure ha subito periodi di prigionia. Un altro fattore che può scatenare questa fobia è l’aver vissuto in prima persona o l’aver assistito a scene di panico o di caos collegate all’incapacità di fuggire e mettersi in salvo.
Il termine fu coniato dai medici nell’Ottocento, in un clima spesso sconvolto dalla scoperta di numerosi casi di sepolture premature, che portavano con sé la macabra e terribile immagine di persone apparentemente morte, ma in realtà ancora vive, chiuse in una bara stretta e sepolta tre metri sotto terra, a lottare invano per non morire soffocate lentamente.
Oggi giorno in realtà questo disturbo si può riferire anche alla paura e all’oppressione che possono essere avvertite in presenza di determinati rapporti umani o situazioni sociali che non riusciamo a gestire o con cui non vorremmo avere a che fare.
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